martedì 30 novembre 2021

CAR POOLING E CAR SHARING: IL TRASPORTO DIVENTA SOSTENIBILE di Alessandra Schiavone

 


L' auto di gruppo o auto condivisa, o car pooling,  indica una modalità di trasporto che consiste nella condivisione di automobili private tra un gruppo di persone, con il fine principale di ridurre i costi del viaggio.   Molto diffuso in ambienti lavorativi o universitari, consiste in una pratica in cui una o più persone  offrono il proprio veicolo, alternandosi nell’uso, oppure contribuiscono con adeguate somme di denaro per coprire le spese sostenute dagli autisti.


 Il covetturaggio offre diversi vantaggi innanzi tutto per l'ambiente: infatti potrebbe  contribuire a diminuire la congestione del traffico, riducendo il numero delle auto in circolazione e di conseguenza la riduzione dell'inquinamento, grazie al minor numero di veicoli in giro. Un altro vantaggio potrebbe essere di tipo economico in termini di costo pro capite sul costo del carburante, olio, pneumatici ed usura dei veicoli.
Negli ultimi anni    tale pratica si è diffusa velocemente soprattutto grazie alle numerose piattaforme di rete che consentono a chi offre o a chi cerca un passaggio sia di natura occasionale che continuata, di organizzarsi e incontrarsi facilmente.
Il car sharing invece consiste in un servizio di mobilità urbana che permette a privati di utilizzare un veicolo su prenotazione, prenotandolo per un periodo di tempo breve, da pochi minuti ad alcune ore, pagando solo l'utilizzo effettivo. Di solito viene utilizzato a scopo commerciale da  aziende pubbliche o private che spesso collaborano con associazioni ambientaliste o con alcuni enti locali. 
Il car sharing si sta diffondendo velocemente in Italia come nel resto del mondo, anche in Paesi in Via di Sviluppo come il Brasile, la Turchia o il Messico. I punti critici di questo servizio, almeno nel nostro Paese, sono soprattutto due: la sostenibilità economica risulta piuttosto problematica, sia per piccoli che per grandi operatori; la presenza massiccia del servizio è presente soprattutto nelle grandi aree urbane del nord, mentre  le realtà medie e piccole restano quasi del tutto escluse dal servizio.




mercoledì 17 novembre 2021

COPENAGHEN: UN INCENERITORE AMICO DELLA CITTA' di Alissa Mastrolonardo


Tra le città virtuose del pianeta sicuramente Copenaghen risulta tra quelle maggiormente all'avanguardia dell'Europa. Non a caso è considerata la città più sostenibile del nostro continente: molta dell'energia che consuma viene prodotta con pale eoliche, inoltre tutti i suoi edifici sono progettati e costruiti in maniera da ottenere la massima efficienza energetica. Oltre il 40% dei suoi abitanti si sposta abitualmente in bicicletta.
  Dal 2017 è attivo un progetto avveniristico che concilia la gestione dei rifiuti e l'architettura green.
Dare una nuova vita ai rifiuti  urbani e trasformarli in energia e calore: il progetto Amager Bakke, prevede una tecnologia avanzatissima che permette di ottimizzare le prestazioni energetiche rispettando l'ambiente. Il nuovo termovalorizzatore si presenta come un inceneritore di ultima generazione per la capitale danese, ma promette di diventare un luogo di ritrovo per gli abitanti della città dove poter trascorrere del tempo all'aria aperta, arrampicarsi o praticare attività sportive. Sulla sua superficie è stata inaugurata recentemente una pista da sci, molto apprezzata dai residenti. 
L'inceneritore permette di donare una nuova vita ai rifiuti donando alla città l' elettricità, il calore  di cui ha bisogno, oltre ad alcune attività ricreative. 


Inoltre l'impianto è stato riconosciuto come uno dei migliori in Europa per efficienza energetica, attenzione per l'ambiente, capacità di trattamento dei rifiuti.  Purtroppo però l'inceneritore di Copenaghen non immetterà nell'aria solo vapore acqueo: seppur ottimizzate le emissioni conterranno comunque ammoniaca, ossido di azoto, monossido di carbonio e carbonio organico.




domenica 11 luglio 2021

SOPRAVVIVERE AL DESERTO: COOBER PEDY. La città sotterranea nel deserto australiano di Grace di Pasquale

 


 Famosa in tutto il mondo come la capitale mondiale dell’opale, Coober  Pedy è una piccola città a sud dell’Australia Meridionale, in un’area semi desertica,  costruita sottoterra per sfuggire alle alte temperature giornaliere che sfiorano i 50 gradi e al freddo gelido della notte. E’ abitata da circa 3500 persone, provenienti da 45 paesi diversi, che lavorano quasi tutti nelle miniere. Queste famiglie vivono ad una profondità che varia tra i 10 e i 22 metri dalla superficie. Qui si trovano infatti labirinti di corridoi che portano a 1500 case private, chiese, negozi, ristoranti, bar. In superficie, infatti, non vi è quasi nulla: l’intera popolazione vive nella vasta rete di tunnel sotto il deserto. E’ stata fondata nel 1913 dal quattordicenne Willie Hutchinson, che cercava oro, ma ha trovato l’opale. il nome Coober Pedy prende origine dalle parole aborigene kupa (uomo non iniziato o uomo bianco) e piti (buco). Attualmente le sue 70 miniere occupano all’incirca 5.000 chilometri quadrati e producono la maggior parte delle opali del mondo. È’ uno dei luoghi più torridi dell’intero paese e del mondo intero. Per migliaia di anni popolazioni nomadi hanno attraversato questo territorio, lasciandolo in breve tempo a causa del clima e della carenza dell’acqua. Solo recentemente il problema idrico è stato risolto con una fonte sotterranea posta a circa 24 km dalla città. 

Imponente la Catacomb Underground Church, la chiesa anglicana scavata nel sottosuolo durante la metà degli anni ‘70.



 Inoltre vi sono musei sotterranei, negozi, una galleria d’arte e, naturalmente, le miniere d’opale. Di notevole importanza simbolica, infine, è l’unico albero della città. La città sotterranea ha iniziato a prendere vita a seguito del completamento della ferrovia che ha permesso a muratori e soldati di insediarsi in questo posto dalle condizioni di vita durissime, creando dei rifugi nel sottosuolo, primo nucleo delle odierne abitazioni sotterranee, che prevedevano anche dei serbatoi d’acqua per il sostentamento.


Le case sotterranee di Coober Pedy non hanno assolutamente l’aspetto di case cavernicole e primitive, scavate nella collina: l’accesso in genere avviene a livello strada e la casa si estende, generalmente, in orizzontale al di sotto della collina che la accoglie; in alcuni casi ampliamenti parziali avvengono anche sotto il livello strada oppure all’esterno, circondati da giardini, pieni di piante grasse e contenitori di acqua.


GLI ALBERI PIU’ STRANI DEL MONDO di Alessio Ryan Pagniello


 "Un albero è un meraviglioso organismo vivente, che dona riparo, nutrimento, calore e protezione ad ogni forma di vita. Offre la propria ombra perfino a coloro che reggono nelle proprie mani un'ascia per abbatterlo". Buddha definì gli alberi in questo modo, ricordando quanto siano fondamentali per la vita di ogni essere vivente. Sappiamo tutti che essi sono i polmoni del pianeta e che senza di essi la nostra vita sarebbe impossibile. La natura e il tempo ci hanno donato degli esemplari rari e meravigliosi, alcuni dei quali davvero inconsueti e straordinari. Tra questi vanno segnalati gli alberi di Ta Phrom, che nascono nelle vicinanze e fra le rovine del tempio di Ta Phrom, in Cambogia. Questo luogo sacro  attira ogni anno centinaia di turisti, affascinati dalla loro maestosità e dalla forma dei loro tronchi e delle loro radici. Il più grande di è un esemplare di kapok (ceiba pentandra), albero che può raggiungere i 70 metri di altezza e il cui tronco può arrivare ai tre metri di diametro.


                                              




L'albero della vita, noto anche come "The tree of life", rappresenta uno straordinario esempio di sopravvivenza in zone avverse. E' un esemplare di Prosopis cinerarium alto 9, 75 metri ed è situato presso Jebel Dukan, nel Bahrain, in una zona desertica e priva di vegetazione. E' qui che svetta quest'albero straordinario che troneggia nel deserto da ben 400 anni nonostante al momento non vi siano sorgenti d'acqua dalle quali le sue radici possano attingere nutrimento.


L'Eucalipto arcobaleno è famoso per lo straordinario colore del suo tronco che è multicolore e non del canonico marrone. Il suo nome latino è Eucalyptus Deglupta, ma è conosciuto come albero della gomma arcobaleno. E' diffuso nelle Filippine,  in Nuova Guinea e nelle foreste pluviali del sud est Asiatico. Può raggiungere i 70 metri di altezza e il suo tronco in età giovanile presenta un fusto di colore chiaro e omogeneo. Raggiunge il suo massimo splendore solo col passare del tempo quando la corteccia si fessura e assume venature colorate nei toni del blu, del viola, del rosa, del marrone, del grigio, del giallo, del rosso e del marrone che creano intersecandosi, effetti cromatici unici.



Lo Wawona Tree oggi non esiste più. Era una gigantesca sequoia alta 69 metri, che si trovava nello Yosemite national park in California.  Si trattava di un albero che attraeva moltissimi turisti a causa di una voragine apertasi alla sua base in seguito ad un incendio ed attraverso cui era possibile passare con la propria automobile. Nel 1969 non riuscì a resistere al peso di una fortissima nevicata quando aveva raggiunto i 2300 anni di vita.



Methuselah è considerato l'albero più antico del mondo. La sua età è stata stimata a 4841 anni. E' situato sulle White Mountains, in California, all'interno della Inyo National Forest.La sua collocazione esatta è però mantenuta segreta per proteggerlo dall'afflusso dei turisti che potrebbero danneggiarlo. Si tratta di un pino dai coni setolosi della specie Pinus Longaeva. Un esemplare ancora più vecchio, chiamato Prometeo, aveva 4844 quando fu abbattuto nel 1964. Nella stessa zona esiste anche un esemplare morto di pino bristlecone,che è ancora in piedi grazie alla sua resina. Si stima abbia vissuto circa 10.000 anni.


Il basket tree è un albero sicuramente bizzarro: la conformazione del suo tronco però non è opera di Madre Natura, ma della mano dell'uomo. L'agricoltore statunitense Axel Erlandson si divertiva a dare vita ad alberi dalle forme particolari. Il Basket tree può essere considerato un albero scultura nato da sei diverse piante di sicomoro intrecciate sapientemente assieme.

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L'adansonia digitata o baobab del Madagascar è una specie endemica della grande isola africana. Sono alberi che hanno imparato ad adattarsi ad ambienti ostili e aridi. Il tronco, povero di fibra legnosa riesce ad impregnarsi e immagazzinare acqua. Ogni albero può contenerne fino a 300 litri, riuscendo così a sopravvivere a grandi periodi di siccità. Sono alberi longevi, che possono vivere oltre i 500 anni.


                              

Il Dragon tree è un albero che vive nell'isola di Socotra, nello Yemen. Appartiene alla famiglia delle Agavacee ed è endemica dell'isola, dove cresce ad altitudini comprese tra i 500 e i 1500 metri.  La sua chioma ricorda la forma di un ombrello. Quando la corteccia o i rami vengono recisi secerne una resina rossa, nota come "sangue di drago", ancora oggi utilizzato come vernice o tintura, come medicamento o come essenza profumata. Quest'isola possiede una flora ed una fauna ricchissima e conta circa 800 specie differenti, delle quali il 37% uniche al mondo. Per questo dal 2008 è stata inserita dall'UNESCO tra i Patrimoni dell'Umanità.

dragon tree

Infine il Cipresso di Montezuma è un particolare tipo di cipresso che si trova nelle vicinanze della città di Aoxaca, in Messico. E' l'albero che ha il più grande diametro al mondo con i suoi 11 metri. Appartiene alla famiglia dellle Cupressacee e si stima che abbia un'età compresa tra i 1200 e i 3 mila anni. Dal 2001 si trova sotto la tutela dell'UNESCO.

cipresso montezuma


sabato 10 luglio 2021

GREAT GREEN WALL IN AFRICA di Grace Di Pasquale

 



La Grande Muraglia verde in Africa  sarà un prolungato corridoio verde, lungo 8 mila Km e largo 15 km. Questo progetto è stato proposto nel 2005 dall’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo ed ha l’ambizione di far crescere una muraglia naturale lungo tutta la larghezza del continente Nero. Undici i Paesi coinvolti: Senegal, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Sudan, Ciad, Niger, Nigeria, Mali, Gibuti, Burkina Faso e Mauritania. Molti di questi Paesi fanno parte del Sahel, la zona a Sud del deserto del Sahara che sta vivendo negli ultimi anni grandi problemi dovuti ai cambiamenti climatici, alla siccità e un massiccio impoverimento del suolo. Tale progetto mira a ripristinare circa 100 milioni di ettari di terra degradata, catturate notevoli quantità di CO2 e creare 10 milioni di posti di lavoro entro il 2030, grazie a finanziamenti internazionali. I lavori sono iniziati nel 2008 e si stima che circa il 18% del muro sia stato completato. Ripristinare il suolo delle aree degradate, renderle resilienti e incrementare la resa agricola significherebbe contribuire al benessere economico e alla sicurezza alimentare delle popolazioni di questi stati. Il finanziamento sinora erogato, che rappresenta oltre il 30% dei 33 miliardi di dollari necessari per raggiungere il traguardo, mira a portare le iniziative di sviluppo rurale in una regione devastata dagli effetti combinati di siccità, povertà e insicurezza alimentare. La Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD) faciliterà le discussioni sull'allocazione delle risorse e darà seguito agli impegni dei donatori, tra cui la Banca africana di sviluppo (6,5 miliardi di dollari), la Banca mondiale (5 miliardi di dollari) e la Commissione europea (2,5 miliardi di dollari ). Il Muro promette di essere una soluzione convincente alle numerose minacce urgenti non solo per il continente africano, ma per l'intera comunità globale, in particolare il cambiamento climatico, la siccità, la carestia, i conflitti e le migrazioni. 


Una volta completata, la Grande Muraglia Verde sarà la più grande struttura vivente del pianeta, 3 volte più grande della Grande Barriera Corallina. Dalla nascita dell'iniziativa nel 2007, la vita ha iniziato a tornare alla terra, portando maggiore sicurezza alimentare, posti di lavoro e stabilità nella vita delle persone.



lunedì 5 luglio 2021

DA MILANO A ROMA IN MONOPATTINO ELETTRICO: LA GRANDE IMPRESA DELLO YOUTUBER JAKIDALE di Giuseppe Santoro


 Undici giorni ,  646 Km, e quasi 8 milioni di visualizzazioni: questi i numeri dell'impresa ecosostenibile dello youtuber Jacopo D'Alesio, noto come Jakidale.  Lo scorso agosto, lo studente di Ingegneria civile del Politecnico di Milano si è cimentato in un'impresa green, filmando e mettendo in rete il video realizzato per promuovere la mobilità sostenibile. Ha scelto il monopattino elettrico per questo viaggio, lo stesso mezzo che utilizza per muoversi nel traffico cittadino del capoluogo lombardo in cui studia e lavora come youtuber. Ha organizzato e pianificato il viaggio, procurandosi una seconda batteria e alcuni pezzi di ricambio in sole due settimane. Ad affiancarlo in bicicletta un suo amico,  Mattia Miraglio, scelto come esperto di viaggi estremi famoso nel mondo dei social per aver girato mezzo mondo a piedi o in bici. Dopo la partenza da piazza Duomo a Milano, l'itinerario dei due ragazzi ha toccato le città di Piacenza, Parma, Modena, Reggio Emilia, Bologna, Firenze, Prato, Bracciano fino ad arrivare nella capitale, a Piazza San Pietro e al Colosseo. Una media di 70 Km al giorno in cui non sono mancate le complicazioni: il caldo, la difficoltà di caricare le batterie per strada, il dolore alla schiena, una caduta che ha provocato un lieve infortunio, il surriscaldamento del mezzo e il maltempo. Nonostante tutto il video è diventato una sorta di documentario-elogio della mobilità dolce e sostenibile e del monopattino.


                                  


CI STIAMO GIOCANDO IL CERVELLO di Stefano Provenza

 


Bambini e ragazzi trascorrono davanti ai monitor più del doppio del tempo che passano a scuola e le conseguenze, purtroppo, si vedono nell’incremento dei disturbi dell’apprendimento, dello stress, di patologie depressive, della predisposizione alla violenza. Nell’ambito della neurobiologia una delle scoperte fondamentali è che il cervello si modifica in maniera permanente attraverso l’utilizzo del cellulare. Oggi è possibile rilevare le dimensioni e l’attività di intere regioni dell’encefalo e mostrare gli effetti neuronali dei processi cognitivi. L’unica cosa che il cervello non può fare è non imparare per cui il tempo trascorso con i media digitali lasciano tracce profonde. Ad esempio, l’impatto della televisione sulla nostra psiche è così profondo che può influenzare i nostri sogni. Nel 2008, uno studio condotto in Scozia ha scoperto che gli adulti di età media che erano cresciuti in una famiglia con un televisore in bianco e nero tendevano a sognare in bianco e nero, mentre i giovani con le televisioni a colori quasi sempre a colori. Questa situazione è andata sempre di più a degenerare con lo sviluppo dei videogiochi in più piattaforme, infatti, i videogiochi stanno diventando sempre più usati anche dagli adulti, l’età media dei giocatori è aumentata ed è stimata intorno ai 35 anni, molti giocatori giocano su computer o consolle, ma ne è emersa una nuova tipologia, ovvero quelli casuali, che giocano su smartphone e tablet in momenti vuoti della loro giornata, come il loro viaggio per raggiungere scuole/lavoro di mattina. I videogames sono una forma sempre più comune di intrattenimento, e diversi studi evidenziano che tale forma di svago ha un effetto sul cervello e sul comportamento.



L uso di videogiochi influenza la nostra attenzione e alcuni studi hanno rivelato che i giocatori mostrano miglioramenti in diversi tipi di attenzione, come ad esempio nell’attenzione selettiva. In particolare, sembrerebbe che le regioni del cervello coinvolte nell’attenzione lavorano in modo più efficace nei giocatori di videogames e richiedono una minore quota di attivazione per sostenere l’attenzione nei compiti impegnativi.Ci sono anche evidenze secondo cui i videogiochi possono aumentare la dimensione e l’efficienza delle regioni del cervello implicate nelle competenze visuospaziali.

I PERICOLI DEI SOCIAL di Michela Russo


I telefonini fanno parte della vita quotidiana di ogni adolescente, tanto che chi non li utilizza viene visto dai coetanei come “strano”. Nei gruppi di ragazzi è normale avere un profilo Instagram o comunque entrare nella rete attraverso un profilo social, in cui compaiono foto, e dati personali. Uno dei principali problemi della diffusione in rete di immagini o dati sensibili sono gli attacchi da parte di hacker che possono utilizzare e rubare tutta una serie di informazioni presenti nei social, come account, password, ecc. Oggi i social sono usati per riunioni, conferenze, DAD e altre cose banali come cercare una semplice informazione. Dei circa 3,43 miliardi di persone inscritte sui social, circa 2,28 miliardi di persone che corrispondono ad un terzo della popolazione mondiale, usano i social in modo abituale. Gli hacker sono attratti soprattutto dai social dove sono iscritte molte persone come Facebook,    instagram e TikTok. La condivisione di dati personali come l’età, la musica preferita e altre informazioni possono essere fonte di diffusione dei propri dati; Questo problema è considerato un vero e proprio furto d’identità. Come abbiamo detto prima, i servizi di social network sono diventati molto popolari sia per gli adolescenti che per gli adulti; Ad oggi le tutele sui social sono poche; infatti c’è la possibilità di un furto d’identità dovuto appunto dalla poca tutela da parte dei social.  Un altro dei problemi che riguardano i social sono sicuramente le cosidette “challange”. Queste sono sfide che a volte causano anche la morte. Una delle sfide più pericolose viene chiamata “black out” e  consiste nel legarsi una cintura al collo, per provare la propria resistenza fino a soffocare. Se si è “fortunati” si perdono i sensi, ma si può rischiare il coma o la stessa vita, come è accaduto alcuni mesi or sono ad una bambina di 10 anni di Palermo. La sfida del  “black out” gira soprattutto su Tik Tok: da un recente sondaggio sembra che almeno un ragazzo su 6 la conosca, ed almeno uno su 5 si è messo alla prova in questo assurdo gioco solo per aumentare il numero di  like o di followers. Infatti i ragazzi spesso registrano la scena per poi condividere il filmato. Tik tok è diventato ormai uno dei social più pericolosi perché è quello con più utenti tra adolescenti e bambini registrati sulla piattaforma. Tra le sfide che oggi per fortuna stanno “passando di moda” ve ne sono alcune piuttosto pericolose: Planking challenge che consiste nell’effettuare delle sfide in posti inconsueti come ad esempio in un incrocio di una strada oppure anche sulle rotaie; la Skullbreaker challenge è una delle sfide in cui si deve far cadere il giocatore all’indietro, spesso il giocatore batte la testa, cosa che può essere molto pericolosa. Infatti le conseguenze possono essere infortuni al capo, alla colonna vertebrale e ai polsi; la Balconing challenge è una delle sfide che durante l’estate è molto diffusa, cioè consiste nel lanciarsi dal balcone, cadendo in una piscina.
Spesso purtroppo l'uso dei social crea dipendenza, il mondo reale perde ogni attrattiva e si può arrivare addirittura a credere che l'io virtuale sia migliore di quello reale. 



IL MIGLIORE AMICO DELL'UOMO... MA NON IN VACANZA! di Giorgia Brienza


 Possedere un animale non è un obbligo, ma una scelta. L'adozione o l'acquisto di un animale è una decisione attenta che deve essere ponderata responsabilmente e consapevolmente e che non può essere dettata da una estemporanea, e a volte momentanea, spinta emozionale. E' necessario riflettere  a lungo e bene prima di instaurare un rapporto di piena e totale convenienza con un animale. L'abbandono degli animali è una pratica abietta che nessuna motivazione reale può giustificare. Secondo la LAV,  ogni anno in Italia vengono abbandonati circa 80 mila gatti e 50 mila  cani. Nel solo periodo estivo, tra giugno e agosto, in media 
gli abbandoni sono circa il 30% del totale. Molti cani vengono abbandonati anche durante il periodo della caccia, perché non adatti all'attività venatoria.
Cifre ancora incredibilmente alte se pensiamo a come negli ultimi si sia fatta largo, sempre di più, la consapevolezza che il cane è un membro effettivo della famiglia e non un oggetto di cui potersi disfare quando non si vuole. L'abbandono è considerato un reato, secondo l'articolo 727 del codice penale. Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano vissuto in cattività può essere punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro.



lunedì 21 giugno 2021

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E LA COP 26 di Alissa Mastrolonardo

 

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E LA COP 26



 Per cambiamento climatico si intende, secondo la definizione data dalle Nazioni Unite, qualsiasi alterazione dell’atmosfera globale che sia direttamente o indirettamente riconducibile all’azione umana. Da molti anni il nostro pianeta è soggetto al cambiamento climatico a causa dell’elevata presenza di gas serra nella nostra atmosfera. Sono numerose le attività umane che liberano questi agenti nell’aria. L’utilizzo di vetture, di impianti di riscaldamento, attività agricole e industriali, tutto ciò che ha a che fare con la produzione di elettricità e calore da fonti di energia non rinnovabile. Una volta nell’atmosfera i gas serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano, trattengono parte delle radiazioni infrarosse originate dal sole e riflesse dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole. Più la concentrazione di questi agenti è elevata, più radiazioni e calore vengono trattenuti, causando così l’innalzamento delle temperature e il cosiddetto riscaldamento globale, responsabile di diversi fenomeni rischiosi per l’ambiente. Dallo scioglimento dei ghiacciai all’innalzamento del livello del mare, dall’incremento delle ondate di calore e dei periodi di siccità, all’aumento di alluvioni, tempeste e uragani. Effetti sempre più evidenti e che si aggravano di anno in anno. Basti pensare che, dall’ultimo rapporto dell’ Onu sul cambiamento climatico, il 2020 risulta essere stato tra gli anni più caldi di cui l’uomo abbia avuto esperienza dal periodo post industriale. Il cambiamento climatico, assieme alla perdita di biodiversità, è una delle più grandi sfide che il nostro mondo abbia mai affrontato. L’aumento delle temperature medie globali sta infatti compromettendo il nostro clima e tali effetti sono destinati ad aggravarsi nei prossimi anni. È soltanto adesso che ci è concessa la possibilità di poter agire e prevenire cambiamenti in futuro irreparabili. Se vogliamo contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo devono necessariamente diminuire almeno del 50% entro il 2030. Molti studi hanno dimostrato in modo risolutivo che le temperature medie globali hanno iniziato ad aumentare dalla seconda metà del XIX secolo. Questo fenomeno, comunemente chiamato “surriscaldamento globale”, è in realtà definito da scienziati ed esperti “cambiamento climatico antropogenico” perché causato proprio dalle  attività umane.”. I gas serra impediscono che il calore si dissipi nuovamente nello spazio e mantengono la temperatura media della Terra a circa +15 °C invece che a -18 °C.  Nel corso dell’ultimo secolo, gli esseri umani hanno immesso nell’atmosfera più gas serra, aumentandone così il relativo effetto. Molti di questi gas provengono dall’utilizzo di combustibili fossili impiegati in fabbriche, mezzi di trasporto e agricoltura. L’anidride carbonica è il gas maggiormente responsabile del surriscaldamento, soprattutto perché maggiormente presente. Il riscaldamento climatico è ulteriormente aggravato dalla perdita di foreste e zone umide,capaci di immagazzinare CO2: si stima che ogni giorno vengano abbattuti più di 32mila ettari di foresta pluviale tropicale per l’industria del legname o per la costruzione di campi agricoli. Il cambiamento climatico sta alterando non solo l’ambiente in cui viviamo, ma anche l’economia, le comunità e, non ultima, la nostra salute. Se non modificheremo il nostro stile di vita e il nostro consumo di energia per contenere l’incremento della temperatura globale al di sotto di 1,5 °C, le conseguenze saranno disastrose. Le conseguenze avranno gravi effetti come:

1)Scioglimento dei ghiacciai e innalzamento del livello del mare a causa dell’espansione dell’acqua a temperature più calde.

2)Aumento dell’intensità e della frequenza di fenomeni meteorologici estremi come uragani, inondazioni, siccità e tempeste.

3)Scarsità d’acqua in alcune zone, desertificazione e diminuzione delle rese dei raccolti con conseguente inasprimento delle tensioni regionali esistenti e ulteriori violenti conflitti.

4)Distruzione delle barriere coralline, acidificazione degli oceani e diminuzione delle rese nell’industria della pesca.

5)Perdita degli habitat, biodiversità, ecosistemi ed estinzione di specie.



Quando si parla di cambiamento climatico, c'è tutta una serie di descrizioni brevi da decifrare. Ma quello che sto per spiegare è forse l'acronimo più importante del 2015: COP o Conferenza delle Parti. Una Conferenza delle Parti è l'organo direttivo di una convenzione internazionale. Il Bureau della Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), insieme al governo britannico e a quello italiano, hanno concordato le nuove date per la prossima Cop26, che si terrà a Glasgow dall’1 al 12 novembre 2021.

domenica 13 giugno 2021

SAHARA FOREST PROJECT di Stefano Provenza

 



Il Sahara Forest Project è un progetto di agricoltura ecosostenibile molto ambizioso: ricavare da tutto ciò che abbiamo in abbondanza (luce solare, deserti, acqua salata, CO2) quello di cui abbiamo più bisogno (cibo, acqua ed energia pulita). I primi studi di fattibilità del progetto vennero presentati a Copenaghen nel 2009 durante la COP 15. L’innovativo progetto, che prosegue ancora oggi, è stato voluto dal re di Giordania Abdullah II e dal principe Haakon di Norvegia. Nel deserto della Giordania le temperature sfiorano i 40 gradi e le precipitazioni sono scarsissime, per questo motivo e per la vicinanza al mare questo deserto è stato scelto per il Sahara Forest Project. Il progetto è stato avviato nel 2008 ed è ancora in fase di sviluppo. A sostenere questa avveniristica iniziativa si è mossa la Max Fordham, azienda inglese specializzata in grandi ed innovative opere ingegneristiche che ha messo la propria esperienza al servizio dell’UE e del governo norvegese. Gli ingegneri impegnati nel progetto hanno ragionato sulle risorse di cui disponevano, ovvero il mare, il sole e la sabbia. Sono state progettate delle serre ultratecnologiche all’interno delle quali è stato trovato il modo per raffreddare le colture e fornire umidità alle piante. L’aria secca del deserto viene convogliata su cuscinetti di acqua marina che la raffredda e la rende umida, in seguito viene fatta fluire nelle serre. L’acqua poi passa attraverso un secondo evaporatore in cui l’acqua viene riscaldata dal sole in una rete di tubi neri. Si tratta di un processo che imita il naturale ciclo idrologico in cui l’acqua marina, riscaldata dal sole, evapora e raffredda fino a formare le nuvole, per poi tornare a terra sotto forma di pioggia, nebbia o rugiada. Per procurare energia  il tutto viene alimentato da pannelli solari. In questo futuristico campo agricolo al momento si producono solo cetrioli, che si coltivano facilmente, ma il progetto prevede un ampliamento delle colture nei prossimi anni. Per adesso si riescono ad ottenere circa 130 tonnellate di vegetali all’anno in circa tre ettari di terreno che oltre a fornire un aiuto alimentare,  hanno creato anche nuovi posti di lavoro.

                              



venerdì 11 giugno 2021

ASSENTI INGIUSTIFICATE. L’ISTRUZIONE DELLE BAMBINE NEL MONDO di Grace di Pasquale

 

 

Non tutti i bambini del mondo riescono ad accedere all’istruzione scolastica. L’UNICEF denuncia che sono circa 121 milioni i minori che non hanno mai avuto questa possibilità e di questi il 54% sono bambine. Eppure a  livello globale in media le ragazze a scuola ottengono voti migliori rispetto ai ragazzi. L'obiettivo 5 dell’agenda 2030 prevede di garantire alle donne l’accesso all’istruzione in tutto il pianeta. Solo in due terzi dei Paesi del mondo  le bambine hanno le stesse possibilità di andare a scuola, rispetto ai maschi.  Le situazioni peggiori si trovano nei paesi più poveri come l’Africa sub-sahariana, l’Asia meridionale e alcune zone dell’Estremo Oriente. In queste zone del mondo ragazze e bambine  incontrano molteplici ostacoli persino nel tragitto per andare a scuola. Tra queste difficoltà vi sono la reale paura degli stupri e dei rapimenti che rischiano di subire nel tragitto per raggiungere la scuola. A queste si aggiunge il disagio di non avere, molto spesso, servizi igienici destinati unicamente a loro. Un problema da non sottovalutare è quello del ciclo mestruale:  in alcuni Paesi del mondo molte ragazze provano vergogna ad andare a scuola quando hanno le mestruazioni,  altre non hanno nemmeno i soldi necessari per comprare prodotti igienici come gli  assorbenti.  Altri problemi sono di ordine domestico: non c’è la possibilità di studiare, ad esempio,  se bisogna badare ad un familiare, inoltre su molte di loro grava persino una parte dell’economia di famiglia e sono costrette a lavorare e produrre parte del reddito domestico. Si stima che, oltre 64 milioni le bambine e le ragazze costrette a lavorare e circa 14 milioni quelle obbligate a sposarsi prematuramente.

Crisi sanitarie come questa che stiamo vivendo  non possono che aumentare la probabilità che molte di loro non torneranno mai più tra i banchi di scuola . E indubbiamente una ragazza analfabeta è meno protetta dalla violenza, dalle malattie e dallo sfruttamento rispetto a una coetanea che ha alle spalle alcuni anni di studio. Le giovani istruite tendono ad avere meno figli. I loro bambini sono mediamente meglio nutriti e curati, perché le mamme sono più informate sulla prevenzione delle malattie e possono recepire i messaggi delle istituzioni sanitarie sulla necessità di vaccinare i bambini, mantenere misure igieniche e dosare le medicine.

GLI EFFETTI DEL COVID SUI DIRITTI DELLE RAGAZZE

Come effetto della diffusione della pandemia di Covid-19, si stima che quasi 500 mila ragazze in più potrebbero essere spinte a sposarsi forzatamente. Anche le gravidanze precoci potrebbero essere un milione in più  e proprio queste costituiscono la causa principale di morte per le ragazze tra i 15 e 19 anni. Le aree più a rischio per le spose bambine sono l’Asia Meridionale, l’Africa Centrale e Occidentale seguono America Latina e Caraibi con 73 mila casi rilevati. Le gravidanze precoci sono invece concentrate in gran parte in Africa, 282.000 nell’area meridionale e orientale del continente e 260.000 in quella centrale e occidentale, e nell’America Latina e Caraibi. L'istruzione è il mezzo migliore per promuovere l'uguaglianza fra i sessi: garantire pari opportunità a partire proprio dall'istruzione è il primo passo da compiere per raggiungere questo ambizioso traguardo. Ignorare che l'esclusione delle bambine e delle ragazze dal sistema educativo non è soltanto la negazione di un diritto umano, ma rappresenta una grave ipoteca sul futuro di una società.


GLI ANGELI DEL COVID: INTERVISTA ALL’INFERMIERA CRISTINA MARSEGLIA di Alessandra Schiavone

La nostra redazione quest'anno ha ospitato la signora Cristina Marseglia, infermiera presso gli Ospedali Riuniti di Foggia, che ci ha gentilmente rilasciato un'intervista e ha risposto alle nostre domande sul Covid-19.

In quale ospedale lavora?

 Lavoro a Foggia agli ospedali riuniti, presso il nostro grande policlinico.

Nel suo ospedale ci sono reparti COVID? 

Nel reparto in cui lavoro ci sono due reparti di rianimazione Covid. Inoltre a Foggia è presente l'ospedale “Colonnello D’Avanzo” che è stato dedicato interamente a problemi concernenti l’emergenza sanitaria, dove  ci sono altri tre reparti in cui sono ricoverati solo pazienti Covid. In aggiunta all’interno della nostra  azienda sono presenti ameno altri tre reparti nei quali vengono trattati pazienti prettamente Covid. Vi è anche  un reparto  chirurgico, in cui ci sono pazienti che hanno contratto il Coronavirus ma  hanno anche altri problemi, ad esempio un appendice, una  colecisti, cioè problemi legati alla propria salute ma che sono indipendenti dal Covid. 

Lei lavora ho ha lavorato con i pazienti COVID?

Per un piccolo periodo ho lavorato con malati Covid in  rianimazione, con i pazienti più gravi.

Com’è cambiato il suo lavoro con la pandemia?

Con la pandemia il mio lavoro è cambiato molto.  Nonostante le precauzioni resta alto il livello d'allarme e la paura di contrarre la malattia a causa di un movimento sbagliato o per aver lavato o disinfettato le mani una volta di meno. Inoltre è mutato il modo di approcciarsi al malato: con i pazienti covid, purtroppo, a causa della tuta, della mascherina, degli occhiali e delle visiere non si riesce ad avere alcuna  relazione con i degenti. Spesso  non si riesce proprio a parlare con loro perché a causa dei dispositivi di sicurezza non riusciamo ad avere un contatto visivo o umano.

Secondo lei ci sono differenze o miglioramenti tra lo scorso anno e oggi?

Sicuramente sì perché siamo più preparati.  Conosciamo la malattia e i protocolli di sicurezza. Però la situazione rispetto allo scorso anno è ancora abbastanza simile. 

Quali sono i problemi principali che si devono affrontare in questo periodo di pandemia?

I problemi legati alla pandemia credo che ormai li conosciamo tutti. Dobbiamo ricordarci di  indossare la mascherina, lavarci le mani, disinfettare spesso  le superfici, mantenere la distanza di sicurezza... I problemi più difficili nella vita di ogni giorno stanno proprio nell'attenzione che dobbiamo avere nelle piccole cose, ma soprattutto nei rapporti con gli altri, verso i nostri cari, i nostri amici. Così  quando abbiamo voglia di abbracciare un amico  dobbiamo pensare alle conseguenze che potrebbe avere un tale gesto nei confronti di chi è più debole: a casa abbiamo i nonni o i genitori che  spesso sono un po’ più fragili dei giovani e con un nostro gesto sconsiderato potremmo far loro del male. .

Secondo lei, tra quanto tempo potrebbe finire realmente questa emergenza ?

Purtroppo temo che con questo tipo di virus dovremo convivere almeno per un po’ di anni. Sicuramente grazie alle vaccinazioni la situazione potrà migliorare.  Solo in questo modo riacquisteremo un po' della nostra libertà. 

E noi che non siamo addetti ai lavori, cosa possiamo fare per fare in modo che la pandemia finisca prima, nei gesti di ogni giorno?

I gesti di ogni giorno sono quelli più semplici ma più importanti: seguire le regole, già dette, evitare luoghi affollati, rispettare noi stessi e gli altri. Prima lo capiremo e prima ci libereremo dal virus



IL RAZZISMO SECONDO NOI -3F SCUOLA MEDIA DELICETO di Bonassisa Michele Pio , Cappiello Benvenuto, Carella Laura, Di Stefano Francesca,Martone Elisabetta, Meola Antonella, Pizzo Arianna Pia, Suriano Domenico

Durante quest'anno scolastico la nostra classe ha collaborato con la rivista "Elce",che ha sede a Deliceto. Con la supervisione della professoressa Olmitella Stanzione,  abbiamo espresso le nostre riflessioni sul tema del razzismo partendo dalla citazione di una frase di Thar Ben Jelloun, scrittore, poeta e saggista marocchino.

 “NON SI NASCE RAZZISTI, LO SI DIVENTA .C’E’ UNA CATTIVA E UNA BUONA EDUCAZIONE. TUTTO DIPENDE DA COLUI CHE EDUCA,CHE SIA A SCUOLA,CHE SIA A CASA.” 

il pensiero  dei ragazzi  della 3 F scuola secondaria di primo grado  di Deliceto sul razzismo

La parola razzismo deriva dal termine “razza”e significa discriminare persone diverse da sé.  Niente di più sbagliato dato che l’unica verità è che nel mondo esiste una sola razza:quella umana. Nel corso dei secoli, il genocidio degli ebrei non è stato l’unico episodio di razzismo, ci sono stati anche:le persecuzioni dei crociati verso i non credenti, la persecuzione degli armeni da parte dei turchi. Purtroppo, però, il razzismo è presente ancora oggi, basti pensare all’omicidio di George Floyd, il 25 maggio 2020, in America.  Ancora oggi, nonostante noi tutti crediamo di vivere in una società civile, accadono tanti eventi,piccoli e grandi che siano, in cui poniamo un muro tra noi e il prossimo, facendolo sentire diverso e isolato. Noi crediamo, come lo scrittore Tahar Ben Jelloun, che non si nasce razzisti ma lo si diventa a causa della cattiva educazione. Tutti i ragazzi apprendono l’uguaglianza fra le persone partendo, sin da piccoli, dall’insegnamento ricevuto dalle famiglie e dalla scuola. Infatti,  a scuola abbiamo imparato che siamo tutti uguali, indipendentemente dal colore della pelle, dall’orientamento sessuale. Però,in fondo sappiamo che un mondo perfetto, senza difetti è un’utopia, perché ci sarà sempre qualcuno che discriminerà le persone di etnie diverse. SOLO NOI RAGAZZI POSSIAMO CAMBIARE IL MONDO perciò dobbiamo impegnarci tutti a non essere indifferenti e ad agire per costruire ponti e non muri. QUINDI DICIAMO NO AL RAZZISMO!


mercoledì 9 giugno 2021

(Non) sono solo canzonette La lotta alla discriminazione nella canzone italiana Classe 3^B Scuola Secondaria di primo grado Bovino

 

 

Il principio di uguaglianza è molto radicato nella nostra società, ed è sancito dall’articolo 3 della Costituzione italiana , anche se periodicamente episodi di razzismo e di intolleranza sembrano metterlo in discussione. Durante l’anno scolastico in corso abbiamo studiato la discriminazione nelle sue forme: razzismo, disparità di genere, orientamento sessuale, credo religioso… Molti studiosi si sono avvicinati a queste tematiche per comprenderne le cause: filosofi, storici, letterati, psicologi. Con la professoressa Antonella Brienza abbiamo voluto affrontare questa delicata questione anche attraverso i testi di autori più vicini ai gusti e all’espressività di noi ragazzi: quelli dei cantautori e dei rapper italiani.  Un viaggio interessante che ci ha permesso di comprendere che molti degli autori che noi ascoltiamo tutti i giorni vogliono comunicarci un messaggio molto più profondo di quello che può apparire ad un primo superficiale ascolto.                              



 Le tematiche affrontate sono piuttosto diversificate, ma tutte interessanti. Caparezza, rapper pugliese, nella sua “Vengo dalla luna” affronta in maniera emblematica e incisiva questo tema, infatti  tale canzone può essere definita come un vero e proprio manifesto ideologico contro il razzismo. Immedesimandosi in un alieno che dalla Luna si trova a vivere nel nostro mondo, rivela tutte le ipocrisie di una società che non riesce ad avere a che fare col diverso e che, spaventato da ciò che non conosce, finisce per perseguitarlo. Secondo i critici musicali tutta la canzone può essere vista come un inno all’apertura mentale, alla condivisione e all’intercultura. Anche il rapper milanese Ghali, figlio di immigrati tunisini, affronta una tematica importante nella canzone “Cara Italia”, scritta sotto forma di lettera e pubblicata simbolicamente il 27 gennaio, nel giorno della memoria. Proprio nel ritornello Ghali ricorda come durante tutta la sua adolescenza sia stato discriminato ed intimato a tornarsene “a casa sua” per le sue origini e i suoi lineamenti poco “italiani”. Il rapper, ritrovatosi a vivere tra due culture diverse, le ha fatte proprie entrambe, ma questo spesso dalla società non è stato visto come un valore aggiunto ma come un motivo di discriminazione. Un'altra tematica cara soprattutto alle cantautrici nostrane è quello della discriminazione di genere e della violenza sulle donne. Molte artiste si sono cimentate su questa tematica ed hanno alzato la voce per esprimere il loro punto di vista sulla discriminazione femminile.


 Uno dei testi più incisivi è quello di Levante, cantautrice siculo-torinese che nel brano “Gesù Cristo sono io” paragona i dolori e umiliazioni di una donna vittima di violenza da parte del compagno a quelle subite da Gesù. Si tratta di un pezzo forte che rappresenta una donna nel momento in cui si rialza dopo aver subito violenze fisiche e psicologiche e si rivolge idealmente a colui che non merita più il suo amore. Gesù Cristo è ogni donna maltrattata, offesa, mortificata, violentata, abusata,  derisa, sminuita, tradita, ogni donna che ha visto la propria dignità calpestata; è ogni donna che è morta per mano di un uomo che diceva di amarla. La stessa tematica è stata affrontata anche in altri brani: “Stella cadente” di Annalisa e Rocco Hunt, che parla di un amore sbagliato e della violenza con toni questa volta espressi con delicatezza ma con fermezza; “Io di te non ho paura” di Emma Marrone:  canzone che parla di una presa di coscienza fondamentale per liberarsi dalla paura; “Mai per amore” di Gianna Nannini che tratta il tema della violenza casalinga, spesso sottovalutata nella nostra società. Infine abbiamo deciso di approfondire “Essere umani di Marco Mengoni”, Una canzone che ribadisce l’importanza di non fermarsi all’apparenza, di tendere la mano per combattere i lati oscuri di una società sempre meno protesa verso il prossimo. Si tratta di una ballade dal significato semplice, ma estremamente profondo: un appello dolce e accorato all’umanità a riscoprire la propria umanità, andando oltre le etichette ed il conformismo che ci impone oggi la società. Ci fa comprendere che spesso siamo chiusi ed incapaci di andare incontro a chi riteniamo essere “diverso” da noi, non  accettandone limiti o qualità e spesso non provando neppure compassione per le loro sofferenze. Siamo diventati incapaci di vedere che chi ci circonda è un essere umano, simile a noi nelle fragilità, nei dolori e nelle emozioni, anche se differenti nell’identità, nella religione, nei valori, nella cultura. Dobbiamo imparare a riprenderci la nostra umanità e abbandonare per sempre i pregiudizi che non ci permettono di provare empatia; dobbiamo comprendere che qualsiasi forma di  diversità può diventare per noi un’inestimabile occasione di arricchimento e di conoscenza.

 


 


IL CANE ROBOT DELL'ARMA DEI CARABINIERI di Antonio Trombacco

         Per la settantaquattresima edizione del Festival di Sanremo i Carabinieri della città ligure hanno potuto contare su un alleato in...