domenica 17 maggio 2020

L'ORO ROSSO - A cura della Redazione - Intervista di Alessio Ryan Pagniello


Lo scorso 27 aprile la redazione di "Parola nostra" ha partecipato alla diretta Facebook dei "Giornalisti nell'erba" per concorrere al XIV premio gNe _Resilienza- Non abbocco2 nella sezione Giornalismo. Ecco di seguito l'articolo premiato, piazzatosi al secondo posto nel concorso.


L’oro rosso
La coltivazione dello zafferano sui Monti Dauni



Lo zafferano è una spezia pregiata che si ottiene dagli stigmi del fiore del Crocus sativus e che cresce bene nella macchia mediterranea, ma anche in climi caldi e secchi. Oltre ad essere famoso per i molteplici usi in cucina, lo zafferano è davvero una miniera di elementi e sostanze preziose per il nostro organismo: è un potente antiossidante, combatte l’invecchiamento cellulare ed è ricco di vitamine.
Il 90% della produzione mondiale arriva dall’Iran, ma è molto diffuso in Marocco, in Grecia, in Italia. Nella nostra penisola viene prodotto soprattutto in Abruzzo, in Sardegna e in Toscana. Non tutti sanno però che viene coltivato anche sui Monti Dauni, nel territorio di Deliceto.
Unico produttore è il signor Giuseppe Patella, elettrauto per necessità e agricoltore ambientalista per passione, che ha cominciato a produrre la preziosa spezia nel 1989. 
Lo abbiamo seguito in campagna per osservare da vicino le fasi di lavorazione dello zafferano e ci ha aperto le porte della sua casa durante la sfioritura e l’essiccamento. Infine ci ha rilasciato un’intervista per spiegare il suo lavoro, per sciogliere i dubbi e soddisfare le nostre curiosità.

FASI DI LAVORAZIONE
Giuseppe utilizza metodi assolutamente biologici in ogni fase della lavorazione, utilizzando tecniche ecosostenibili, nonostante i mille problemi e imprevisti che lo hanno portato, durante gli ultimi 30 anni, a dover rivedere il suo lavoro o   ricominciare dal nulla, anno dopo anno.
La prima fase da seguire è la preparazione del terreno in cui verrà messa a dimora la nuova piantagione, che avviene da marzo ad agosto.  Indispensabile, durante questa fase è la vangatura: il terreno deve essere tagliato, sminuzzato e reso morbido, scavando le zolle fino a 60 cm di profondità. Il terreno viene fertilizzato con cenere e letame maturo di pecora o di cavallo, che Giuseppe si procura da un allevatore suo confinante. Nei mesi successivi viene lavorato solo in superficie, estirpando a mano le erbe infestanti.
All’inizio di agosto inizia la seconda fase, la scavatura: i bulbi vengono scavati e rimossi dalla vecchia dimora, quindi vengono puliti e selezionati. I tuberi rovinati o rosicchiati da qualche roditore vengono scartati e dati in pasto a maiali o altri animali d’allevamento. 
Sempre in agosto inizia la terza fase di lavorazione e si costruisce il nuovo impianto, la nuova dimora che ospiterà i bulbi. Il produttore procede a preparare le aiuole: 6 solchi lunghi circa 30 m ciascuno, distanti fra loro circa 30 cm. Essendo tutta la lavorazione eseguita manualmente, non occorre che i solchi abbiano una larghezza maggiore, come quando si utilizzano macchine agricole. Il primo e l’ultimo solco non ospitano i preziosi tuberi, ma costituiscono il solco di drenaggio. Lo zafferano infatti non ama i ristagni d’acqua che portano muffe e malattie nelle piante. I due solchi di servizio sono più profondi degli altri e restano aperti.
Inizia quindi la quarta fase: la messa a dimora dei bulbi, che vengono ben allineati l’uno accanto all’altro e posti con l’apice verso l’alto. Il tutto viene ricoperto con cenere, fertilizzane naturale. Quando viene aperto il secondo solco, con una zappa triangolare, la terra rivoltata va a coprire l’aiuola precedentemente preparata.








Le piogge di fine agosto e di settembre fanno in modo che i bulbi entrino in vegetazione, mettano le radici e comincino a germogliare le prime piantine.  Insieme ad esse però nascono anche molte erbe infestanti, che potrebbero sottrarre nutrienti allo zafferano, impedendo ai bulbi di crescere. Inizia quindi un lungo e costante lavoro di pulitura delle aiuole, che deve continuare fino alla fioritura.
Laddove è possibile si può procedere con la sarchiatura, effettuata con la zappa, ma abbastanza lontano dalle piantine per non rovinarle.
Intorno alla metà di ottobre appaiono i primi fiori.  Inizia quindi la raccolta.  Il raccolto va eseguito all’alba, tutte le mattine, finché i fiori non si esauriscono. E’ importante che il fiore venga colto prima che si schiuda, non solo per facilitare le attività di raccolta, ma anche per non danneggiare le piante non ancora fiorite.
I fiori vengono adagiati in cestini di vimini o di altri materiali naturali che permettono l’areazione, come ulivo o canne.
Ogni giorno i fiori vanno immediatamente portati a casa per la sfioritura.
E’ questa la fase più importante e delicata dell’intera produzione. Se il raccolto del giorno è stato abbondante occorre molta mano d’opera per separare da ogni singolo fiore gli stigmi, il prezioso oro rosso.
Le mani sapienti di Giuseppe e dei suoi familiari  prelevano dal fiore i tre pistilli  a forma di trombetta o di corno di bue, di colore rosso porpora che si trovano al centro del croco. I sei petali color lilla e gli stami gialli costituiscono gli scarti.


Nell’antichità venivano gettati nel campo come ringraziamento alla madre Terra per il dono ricevuto, e Giuseppe porta avanti l’antica tradizione, fornendo in questo modo un fertilizzante naturale ai suoi campi.
I pistilli, messi da parte scrupolosamente sono pronti per una nuova fase produttiva: l’essiccazione. Questa fase avviene contemporaneamente alla sfioritura. In una tinozza di metallo viene acceso un fuoco con legna esclusivamente di ciliegio, mandorlo o quercia. La legna deve essere ben stagionata ed asciutta, poiché se dovesse contenere dei residui di umidità, questa andrebbe ad inficiare la qualità del prodotto. Queste braci inoltre durano a lungo, ma vengono scelte soprattutto perché inodori: dei legni troppo profumati potrebbero rovinare l’aroma tipico dello zafferano e potrebbero alterarne l’odore.

I pistilli vengono adagiati in un setaccio e questo, agganciato ad un catenaccio, viene tenuto in sospeso sulle braci ardenti per circa 15 minuti.


E’ una fase delicatissima: il prodotto non essiccato bene potrebbe essere attaccato dalle muffe e l’intero raccolto andrebbe perduto insieme con un anno di lavoro.
Finalmente, si passa alla fase di conservazione all’interno di contenitori di vetro che vanno conservati al buio e in luoghi asciutti e con temperature costanti.
In questo modo il prodotto mantiene aroma e sapore fino a dieci anni.
  








METODI BIOLOGICI
Giuseppe, ci assicura, produce zafferano “a inquinamento zero”. Tutte le fasi di lavorazione vengono effettuate rigorosamente a mano, senza mezzi meccanici inquinanti e senza l’ausilio di fertilizzanti chimici. Questo gli permette anche di limitare l’utilizzo di suolo destinato alla coltivazione, evitando spreco di terreno. Utilizza fertilizzanti naturali, come la cenere di legna da ardere, proveniente dalla sua stufa a legna. Tale combustibile viene attinto direttamente dalle potature dei suoi uliveti e frutteti, o da qualche albero secco dei suoi terreni agricoli. Altro fertilizzante naturale è il letame maturo, che arricchisce i terreni di sostanze organiche e rende il terreno drenante, e allo stesso tempo trattiene l’umidità dell’acqua, restituendola nei periodi di siccità.
Che sia un prodotto biologico lo dimostrano le innumerevoli api che vanno a nutrirsi del nettare dei fiori appena sbocciati, e come si sa, le api amano il biologico.
Il terreno destinato alla coltivazione di zafferano non viene riutilizzato per lo stesso tipo di coltura per almeno dieci anni.  Questo tubero infatti impoverisce molto i terreni, che negli anni successivi vengono coltivati a grano, avena o lasciati incolti.

PROBLEMI E DIFFICOLTA’ INCONTRATE

Giuseppe racconta che in trent’anni di attività i problemi incontrati sono stati molteplici. Molte le difficoltà di carattere ambientale, come le annate con piogge eccezionali, che rovinano i bulbi, li soffocano e li uccidono. Altro problema è quello dei roditori che possono rosicchiare e rovinare i tuberi. Alcuni anni orsono il danno maggiore. All’apice dell’attività quando era riuscito a raggiungere otto quintali di prodotto e a produrre circa un chilogrammo di zafferano, alcuni maiali neri, lasciati incustoditi dal proprietario, hanno divorato l’intero capitale.  Dopo circa dieci anni, oggi Giuseppe possiede circa due quintali di bulbi e riesce a produrre nuovamente 300 grammi di prodotto. Inoltre da allora recinta completamente le aiuole adibite a zafferano. 
Anche i cambiamenti climatici fanno la loro parte nella lotta per la produzione dell’oro rosso: i bulbi diventano sempre più piccoli. E un bulbo più piccolo dà meno fioriture. Ogni bulbo può dare, a seconda delle dimensioni, da tre-quattro fino a sei-sette fiori. Da ogni bulbo messo a dimora se ne formano due o tre, di dimensioni differenti, a seconda della pianta madre.


PRODUZIONE E FORME DI COMMERCIALIZZAZIONE
Lo zafferano può essere venduto in stimmi o in polvere. Il signor Patella lo commercializza preferibilmente in pistilli, in piccoli barattolini di vetro, da un grammo ciascuno. Per pesarli utilizza una bilancia di precisione, che gli permette di produrre anche delle bustine da un decimo di grammo. Tali bustine a titolo dimostrativo sono state offerte agli alunni di una classe seconda della scuola primaria del nostro istituto che aveva effettuato un’uscita didattica nello scorso mese di novembre.
Vende il suo prodotto durante fiere o sagre di paese, oppure ad alcuni ristoranti della zona che ne fanno richiesta. Molte però le persone che ritengono eccessivo il prezzo dello zafferano, senza comprendere la fatica e la mole di lavoro che occorre.



Abbiamo fatto alcune domande al signor Patella:
Perché ha pensato di coltivare zafferano in una zona, come i Monti Dauni, che tradizionalmente non pratica questo tipo di coltura?
Questa mia iniziativa è nata alcuni anni addietro perché il prezzo del grano, tipico dei nostri territori, che io producevo e produco tuttora, ha subito una forte crollo. Il prezzo è diventato talmente basso da diventare un investimento per nulla redditizio. Per questo ho cominciato a pensare ad un modo alternativo per sfruttare almeno parte dei miei terreni. Ho pensato allora allo zafferano, ma prima di cominciare a coltivarlo ho cercato di capire se tale coltura fosse adatta alle nostre zone e ai nostri territori.  Dopo alcune ricerche ho potuto constatare che prosperava in zone collinari, proprio intorno ai 600-700 m di altitudine.

Quando e come ha iniziato la sua produzione?
Ho iniziato le prime prove nell’agosto del 1989. Mi sono recato in Abruzzo, a Navelli, una delle comunità tradizionalmente note come “patria dello zafferano”, dove ho acquistato i bulbi e ho acquisito tutte le conoscenze per iniziare questo tipo di attività, lavorando con i contadini ed imparando i segreti del mestiere. Tornato a Deliceto, ho iniziato a costruire la prima dimora, cioè a preparare il terreno che avrebbe ospitato i bulbi, ma solo l’anno successivo, nell’agosto del 1990, ho costruito il mio primo vero impianto assieme ai miei genitori.

Quanto zafferano produce ogni anno?
Dopo varie vicissitudini che mi hanno portato negli anni a perdere completamente o in buona parte il mio raccolto, oggi produco circa 300g di zafferano.

Lei dice di aver perso completamente il raccolto in passato, come mai ha continuato con questo tipo di produzione?
Alcuni anni fa dei maiali neri, lasciati incustoditi da un mio vicino, hanno divorato tutti i bulbi del mio impianto. Così ho perso tutto ed ho dovuto ricominciare da zero. Ho continuato perché ho una grande passione per questa spezia meravigliosa, e anche perché amo le sfide. Voglio provare a me stesso di riuscire nuovamente a produrre un prodotto di ottima qualità nonostante tutte le difficoltà

Quali sono le sue sfide per il futuro?
Mi piacerebbe molto riuscire a trovare un sistema per eliminare completamente qualsiasi malattia dallo zafferano, per riuscire ad aumentare la produzione, con bulbi di alta qualità e resistenza, ma in maniera assolutamente biologica e naturale.   

      


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