Il Giorno della Memoria serve a commemorare milioni di ebrei, sterminati durante la Shoah ma deve anche ricordare che ogni giorno esistono ancora innumerevoli discriminazioni contro chi ci sembra diverso. Tragedie così grandi non avrebbero dovuto più ripetersi e per questo l’ONU dopo la Seconda guerra mondiale, ha voluto farsi garante della pace tra i popoli. Eppure durante tutto il Novecento si sono consumati nuovi stermini di massa in varie zone del pianeta. Basti pensare alla “pulizia etnica” compiuta nella ex Jugoslavia nel 1995, o agli eccidi verificatisi in Ruanda nel 1994 durante il conflitto etnico tra Tutsi e Hutu che provocò quasi un milione di morti in soli cento giorni. In Cile durante la dittatura di Augusto Pinochet furono uccisi almeno quarantamila oppositori al regime e vennero sequestrate almeno sessantamila persone. E ancora: il genocidio del popolo curdo, i “desaparecidos” dell’America latina, il genocidio del popolo iracheno durante la dittatura di Saddam Hussein, il genocidio in Cambogia da parte dei Khmer rossi che ha coinvolto due milioni di persone, la tragedia dei popoli del Darfur, nel Sudan o del popolo Saharawi, a sud del Marocco. Ogni volta che la storia si ripete, sentiamo dire “mai più”, eppure ancora oggi sta accadendo qualcosa di simile nel Nord-Ovest della Bosnia e Erzegovina, dove si aggrava sempre di più l'emergenza umanitaria per i migranti bloccati in una situazione disumana al campo di Lipa. Si tratta di profughi provenienti perlopiù da Iran, Pakistan e Afghanistan, giunti in Bosnia dopo aver subito torture e violenze disumane. Da circa sei anni, dall’estate del 2015, la rotta balcanica ha visto arrivare da quelle terre oltre un milione di persone che cercano di entrare in Europa con la speranza di una vita migliore. Ma ad attenderli chilometri di filo spinato e giganteschi campi di confinamento legalizzati che offrono condizioni di vita difficili. La situazione già fragile è precipitata lo scorso dicembre, quando, la vigilia di Natale, un incendio ha distrutto il campo di Lipa e quasi mille profughi sono rimasti a lungo senza un riparo in preda a neve e gelo. L'esercito bosniaco - tra le proteste e le pressioni dell'Unione europea - ha realizzato una tendopoli temporanea in attesa della completa ricostruzione del campo con standard e accorgimenti che lo rendano abitabile anche nelle condizioni del gelido inverno balcanico. Decine di migliaia di migranti in transito sono stati rinchiusi per mesi all’interno dei campi profughi o strutture di vario genere presenti in tutti i paesi coinvolti dalla Rotta (Turchia,Grecia, Albania, Nord Macedonia, Serbia); campi inadeguati e sovraffollati che si sono trasformati in luoghi dalle condizioni estreme: senza servizi idonei, in condizioni igieniche pessime, con gravi rischi per la salute psicofisica di queste persone. Una rotta che non ha mai smesso di essere percorsa da migliaia di persone, nonostante l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. Proprio la Caritas italiana durante lo scorso aprile ha denunciato l’esistenza di nuovi focolai di Covid-19 a causa delle pessime condizioni igieniche e delle difficoltà a mantenere il distanziamento. Oggi grazie all'intervento di associazioni umanitarie come la Caritas italiana è stato possibile realizzare diversi interventi come l'acquisto di un'autocisterna per la distribuzione di acqua potabile, l'apertura di un tendone -refettorio riscaldato per permettere ai profughi di mangiare in maniera dignitosa, nuove tensostrutture per i bisogni sanitari, un servizio di lavanderia. Un aiuto per queste persone dimenticate, di cui si sa e si parla troppo poco.
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