venerdì 12 aprile 2024

TRADIZIONI PERDUTE: GLI ANTICHI RITI MATRIMONIALI A BOVINO. A cura della redazione

 Il matrimonio in tutto il sud Italia è considerato uno degli eventi più importanti della vita di una persona. Rispetto ai primi del Novecento però le cose sono cambiate molto. La nostra redazione è partita dai racconti e dai ricordi di nonni e bisnonni per comprendere come fosse organizzato un matrimonio nel nostro paese nei primi decenni del secolo scorso.

Dai racconti dei nonni abbiamo appreso che quando due giovani si fidanzavano e decidevano di sposarsi si faceva “l’albero in piazza”, una tradizione ormai scomparsa anche nel ricordo della maggior parte degli anziani. Il rituale prevedeva che tutte le persone che conoscevano i due promessi sposi, parenti, amici, vicini di casa, conoscenti, si riunissero e che mettessero in piazza pregi e difetti dei due giovani: se fossero gentili o superbi, pigri o lavoratori, ecc. in modo che non ci fossero brutte sorprese dopo il matrimonio. Nascevano vere e proprie discussioni a causa delle quali qualche fidanzamento poteva sciogliersi.



Prima del matrimonio venivano stipulati dei veri e propri contratti, a volte solo verbali, in cui si decideva la dote della sposa: questa prevedeva non solo la biancheria da letto o per la casa, ma anche il numero esatto di vestiti, scarpe, biancheria intima, fazzoletti, fino ad arrivare alla spoletta di filo e agli aghi da cucito. Le ragazze o i ragazzi più benestanti portavano in dote anche appezzamenti di terreno, case o animali come asini, pecore o mucche. Il corredo della sposa veniva esposto durante la festa del primo letto “lu liétt”, nella casa degli sposi, qualche giorno prima del matrimonio. A questa festa partecipavano tutti gli invitati alle nozze e qualche vicino di casa, ma era assolutamente tabù per la sposa che non poteva prenderne parte. Il primo letto poteva essere preparato solo al momento in cui arrivava la suocera, che controllava accuratamente che la dote concordata ci fosse tutta.

Le spose di fine Ottocento non indossavano ancora l’abito bianco, ma di colori pastello, rosa, beige, giallino… Indossavano nuovamente il loro abito ai matrimoni cui venivano invitate successivamente e le giovani spose seguivano la sposa nel corteo nunziale.




La festa del ricevimento si faceva in casa di qualche parente che avesse una stanza abbastanza grande per pranzare e per poi ballare al suono di un’orchestrina. Il menu di solito prevedeva maccheroni al ragù di carne, spezzo gli ziti: una vera prelibatezza poiché tutti facevano la pasta in casa e la pasta secca era considerata un vero lusso. Seguiva la carne al ragù, salsiccia, o involtini (le braciole bovinesi) e poi una teglia di patate al forno con carne di agnello e torcinelli.

I confetti venivano distribuiti alla fine del ricevimento direttamente dagli sposi che con un cucchiaio ne donava tre o cinque per ogni invitato. Negli anni Cinquanta sono comparse le prime scatoline di cartoncino o di plastica, antenate delle bomboniere.

Infine la sposa dopo il matrimonio non poteva uscire di casa per una settimana: solo la prima domenica utile dopo questo periodo di segregazione poteva uscire con lo sposo per andare a Messa. A questo punto cominciava la vita vera della nuova famiglia.


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