A seguire il testo che si è aggiudicato la vittoria nella sezione "Racconti" del concorso indetto dell'AVIS di Bovino.
L’ombra
più grande della mia vita…
Ciao, mi chiamo
Paul e ho 19 anni. Sono sempre stato un ragazzo poco altruista, che pensa solo
a se stesso.
Non ho mai
tenuto molto neanche ai miei familiari. Sono nato in una ricca famiglia e mi è
sempre stata data qualunque cosa io chiedessi. Non ho mai avuto molti amici,
sto antipatico a molti per la mia ricchezza, o almeno così credevo… dopo la
storia che sto per raccontarvi ho aperto gli occhi e ho capito d’essere
una persona antipatica ed indifferente. Le uniche persone a cui tenevo
all’epoca dei fatti, erano Mike e John, i miei unici e veri amici. John si
era trasferito qui in America da poco, e fu così che io e Mike lo abbiamo
conosciuto. Mike invece lo conoscevo dall’infanzia. È sempre stato il mio
migliore amico. Ci tenevo molto a lui, ed era l’unica persona per cui (forse)
avrei dato la vita. Quella mattina, eravamo appena usciti dal college, uscimmo
per andare a mangiare al “Terra Blues “, uno dei bar più importanti
di tutta New York. Per John era la prima volta in quel posto, io e Mike invece
c’eravamo andati spesso. Ordinammo subito qualcosa. Mentre John guardava
spaesato il bar, ha notato una foto del Grand Canyon.
-Ragazzi,
cos’è quello?- chiese John indicando la foto.
-Come fai a
non sapere cosa sia? È il Grand Canyon, una gola da cui si può
vedere un panorama mozzafiato- risposi.
-Sarebbe
bello visitarlo, un giorno…- disse Mike. -E perché no?- Risposi.
Fu così che
qualche settimana dopo riuscii a procurarmi una guida disposta a portarci
lassù. Quel giorno prendemmo un bus assieme ad altre persone, tutte riunite per
visitare il Grand Canyon. Salimmo assieme e dopo aver ignorato le
raccomandazioni che la guida ci aveva fatto, ci fu concesso il tempo per
visitare meglio quella zona straordinaria. Ci sedemmo per guardare il panorama.
Mike, che come noi non aveva dato retta alla guida, si sporse per vedere quanto
fossero profonde le gole: all’inizio non pensammo potesse accadere chissà cosa,
ma Mike, che si era sporto troppo, era scivolato e fece un volo di qualche
metro sbattendo la testa ed il collo su dei sassi.
Inevitabilmente
la guida urlò, e tutti gli altri iniziarono ad agitarsi, ma la cosa peggiore è
che io ero rimasto paralizzato dalla paura. Paura di perdere un amico con cui
avevo condiviso belle e brutte esperienze, il mio unico amico insomma. Mentre
alcuni gridavano di chiamare un’ambulanza, ed altri erano impauriti (fra cui
io), ci accorgemmo che dal collo di Mike stava uscendo molto molto sangue,
probabilmente gli si era trinciata la giugulare. John si strappò così la
camicia e scese ad aiutarlo, tenendogliela stretta per evitare maggiore
fuoriuscita di sangue. Fu chiamato un elisoccorso che arrivò giusto qualche
minuto dopo. Furono così controllati alcuni suoi valori vitali e dopo essere
stato medicato, i soccorritori lo portarono in ospedale.
Riuscimmo
più tardi a raggiungerlo. Mentre un taxi ci aveva accompagnato fin lì, la paura
mi aveva tartassato. Una volta giunti in ospedale, incontrammo la madre
di Mike, mentre il padre non c’era perché impegnato in una riunione di
lavoro. I dottori ci spiegarono che serviva un’urgente trasfusione di sangue 0-
, un gruppo sanguigno raro. Ci fu chiesto allora, essendo tutti maggiorenni, di
donare il sangue affinché gli potesse essere salvata la vita.
Io sapevo
bene di essere 0-, ma ero sicuro che qualcun altro avrebbe donato al posto mio.
Avevo una paura terribile di donare: ho paura degli aghi, e questa fobia mi
accompagna da sempre, fin da quando ero piccolo. Ogni secondo che passava ero
sempre più convinto che avrebbero trovato quel tipo di sangue… non sapevo come,
però. Ero molto pensieroso: vedevo la mamma di Mike in lacrime tra le braccia
di John.
D’un tratto
iniziarono ad entrare sempre più dottori in quella sala. Solo pochi minuti dopo
ci fu comunicato che Mike era morto. Mi sentivo un idiota: per la mia stupida
paura avevo fatto morire il mio migliore amico. Non nego che piansi, e per più
giorni, perché sapevo in un certo senso, di aver ucciso il mio migliore amico.
Mi vergognavo, anche se solo io sapevo di questa cosa… era come se avessi avuto
un ombra addosso… l’ombra di Mike. Fu in quel momento che aprii gli occhi e
decisi di andare a donare il sangue. Mi organizzai così anche con John e, un
martedì mattina, ci dirigemmo in pronto soccorso per donare. Avevo paura, molta
paura. Entrammo in una sala, e mentre i dottori si stavano preparando, dalla
finestra mi parve di vedere Mike che mi sorrideva. So che me lo sono immaginato
per certo… ma ero felice in quel momento e decisi di prendere coraggio. Una
volta fatto, andai a mangiare un gelato con John.
Ho capito
così che tutti dovrebbero donare, perché non si sa mai, potrebbe servire ad un
amico o anche a noi stessi. In quel momento sapevo che mi sarei portato la sua
ombra per sempre, e che me ne sarei dovuto anche vergognare… ma dentro di me
sapevo anche che il destino non si cambia e che quella donazione ed anche le
future sarebbero state in suo onore. E chi lo sa che magari, un giorno o
l’altro, non ci si incontri in un altro mondo…
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