lunedì 3 novembre 2025

TRADIZIONI POPOLARI A BOVINO: LA CLASSE SECONDA A INCONTRA E INTERVISTA PEPPINO ACCETTULLO, CANTASTORIE, MUSICISTA E POETA BOVINESE Di Giacomo Lombardi, Alessandro Borgia e Francesco Spano

 



Dopo l’incontro con Ugo Ianniello la nostra classe ha poi incontrato ed intervistato Giuseppe (noto come Peppino) Accettullo, che ci ha raccontato le origini del Carnevale, non solo bovinese. EccIl Carnevale rappresenta da sempre una festa del popolo, che si contrappone alle festività religiose ufficiali. E’ un momento in cui domina la libertà più assoluta, in cui tutto diventa lecito. Ogni gerarchia decade per lasciare spazio al divertimento, alle maschere, allo scherzo, al riso. Lo stesso mascherarsi rappresenta un modo per uscire dal quotidiano e disfarsi del proprio ruolo sociale: negare sé stessi per diventare qualcun altro. Le prime manifestazioni che si ricordano del Carnevale risalgono a circa 4000 anni fa: gli Egizi furono i primi ad ufficializzare una tradizione carnevalesca con riti, feste e pubbliche manifestazioni in onore della dea Iside, protettrice della fertilità dei campi e che simboleggiava il perpetuo rinnovarsi della vita. Il carnevale greco veniva festeggiato invece, in varie riprese tra l’inverno e la primavera, con riti e sagre in onore di Bacco (il nome con cui i greci chiamavano Dionisio nel momento estatico dell'ebbrezza), dio del vino e della vita. Le “grandi dionisiache” dal tono particolarmente orgiastico, si tenevano tra il 15 marzo e il 15 aprile, punto culminante del lungo periodo carnevalesco.o le sue parole:


I “Saturnali” furono, per i romani, la prima espressione del carnevale. Gradualmente persero il loro significato rituale, assumendo la chiara impostazione di feste popolari, i cui relitti sopravvivono in molte feste e tradizioni della nostra penisola, soprattutto nel Sud e nelle Isole.  Le feste in onore di Saturno iniziavano il 17 dicembre e si prolungavano dapprima per tre giorni poi per un periodo molto più lungo, corrispondente al nostro periodo natalizio, sebbene nei contenuti più simile al carnevale.  Caratteristica dei “Saturnali” era la sospensione delle leggi e delle norme sociali. Plebei, schiavi e patrizi si concedevano un periodo di frenetiche vacanze di costumi e di lascività di ogni genere. 



La personificazione del Carnevale in un essere umano o in un fantoccio, risale invece al Medioevo. Ne furono responsabili i popoli barbari che, giungendo nei paesi mediterranei determinarono una sovrapposizione o una simbiosi di usi e costumi, assorbiti dalla tradizione locale. La chiesa cattolica  e le autorità ecclesiastiche tolleravano le manifestazioni carnevalesche come momento di svago e spensieratezza, pur ritenendolo un momento di riflessione e di riconciliazione con Dio. Si celebravano, come tuttora avviene, le Sante Quarantore (o carnevale sacro) che si concludevano la sera dell’ultima domenica di carnevale.  

In tutte le regioni d’Italia viene celebrato con sfilate e balli in piazza, maschere tradizionali e fantastiche, coriandoli e stelle filanti, ma in alcune città i festeggiamenti sono tanto originali da richiamare turisti e visitatori da ogni parte del Paese o del mondo.

 Abbiamo rivolto al signor Accettullo alcune domande:

Lei è un grande esperto in musica popolare. Che differenza c’è tra musica popolare e musica tradizionale?

In effetti sono la stessa cosa.La differenza, se c’è, è minima. Non parliamo di musica leggera o di canto lirico. Si tratta di tradizioni che vengono non semplicemente raccontate, ma narrate in musica. 

Che cos’è la musica popolare?

La musica popolare è’ l’espressione più pura di ciò che il popolo ha assorbito o che ha necessità di esprimere. Ha a che fare e riguarda il popolo. Tutto ciò che è tradizione, tutto ciò che è cultura, cioè il bagaglio culturale e popolare che si esprime attraverso la musica.I canti popolari si sono trasmessi in maniera orale da una generazione all’altra ed erano anche un modo di cantare la protesta. Un tempo la democrazia non esisteva e non c’era la possibilità di ribellarsi. Quando il popolo voleva dire qualcosa a chi lo governava o deteneva il potere, lo faceva in musica, cantando, poiché non poteva parlare liberamente,  altrimenti avrebbe rischiato di essere punito. Chi apparteneva ad una setta religiosa ad esempio, come i primi cristiani al tempo dei romani, spesso comunicavano tra loro cantando. A Bovino vi è un antico canto popolare, forse di origine  medievale che si chiama “Doi tiedd r capoun” cioè due pentole di capponi. L’abbiamo scovata quando abbiamo fondato il primo gruppo folcloristico qui a Bovino e abbiamo fatto una ricerca molto approfondita tra gli anziani. Proprio loro ci hanno raccontato che ai tempi in cui a Bovino c’era il Duca Guevara, spesso entrava in collisione con la Chiesa. Il cappone è il più prepotente dei galli di un pollaio e che commette soprusi anche sulle galline. Nel testo il despota viene paragonato al cappone, i due capponi sono il Duca e il Vescovo (Bovino è sede episcopale). Infatti alcune strofe della canzone recitano così, come un botta e risposta tra due popolani:


“- Sacc na storij r add e r capoun

ma quest je na storij ca nen v’agge mej accuntete-

E chi te l’eve ‘mparete?-

me l’agge mparete sotta l’arc de Mensignour. 

monsignour facej nu pirete

eiej m’occ a zi’ Duminic

Zi’ Dumineche facei na loff

e iej m’occ a la patoff,

la patoffa cucinava e lu monac abballava

abballava tunn tunn sett palm e sett palumm.

Ohilì ohilà pur awann je jout accussé

e mo ch’arreive l’anne che viene

vereime ke kepa tiene.-

(Traduzione: - Conosco una storia di galli e di capponi,

ma questa è una storia che non vi ho mai raccontato.-

E chi te l’ha insegnata?-

L’ho imparata sotto l’arco di Monsignore. -

Monsignore fece una scorreggia

che finì in bocca a zio Domenico

zio Domenico fece un’altra scorreggia 

che finì in bocca alla perpetua

la perpetua cucinava e il monaco ballava

ballava tondo tondo sette palme e sette colombi

Ohilì, Ohilà anche quest’anno è andato così

e appena arriva il prossimo anno

vediamo come andrà…”)

L’arco di Monsignore si trova vicino alla cattedrale e al vescovado, dove viveva il Vescovo. Il despota invece (il Duca) viene associato, nella stessa canzone  ad un cavallo pazzo che trascina tutti in una corsa sfrenata. Ma il popolo spesso si ribellava anche a lavori troppo pesanti. Nei lavori più lunghi e impegnativi, come la raccolta delle olive o la mietitura, i migliori operai erano quelli che venivano dalla montagna. I grandi proprietari chiamavano operai da tutti i nostri piccoli paesi, ma avevano uno scopo ben preciso: vivendo molto lontano questi operai erano costretti a dormire direttamente sul luogo di lavoro per cui lavoravano moltissime ore, dal sorgere del sole al calare delle tenebre  I proprietari terrieri la sera precedente l’inizio dei lavori facevano una grande festa nell’aia per rabbonire i contadini. Ma il giorno successivo le cose cambiavano radicalmente. La paga era per lo più in natura, pochi erano i soldi ricevuti per il lavoro. Spesso però vi erano delle dispute per la paga. Per ovviare a questo vi era un libro “naturale” chiamato la staccj. Era un pezzo di legno di ferula, pianta spontanea che ha un tronco molto leggero che veniva tagliato a metà. Questi due pezzi di legno combaciavano perfettamente solo con la loro metà. Vi erano tre staccj diverse: una per il pagamento in olio, una in formaggio o altro, una per il pagamento in moneta.  Al momento del pagamento operaio e padrone presentavano le due metà della staccj e veniva fatto un taglio con un coltello su entrambe le staccj. Per snellire la fatica i contadini cantavano: in questo modo si è diffusa la cultura popolare da un paese all’altro. Il lavoro quindi è stato un veicolo per la diffusione dei canti popolari. 

A quanti anni ha iniziato ad occuparsi di musica?

Francamente non ricordo… forse circa sessant’anni fa. Da ragazzino ho iniziato a suonare la chitarra e a narrare delle storie prendendo spunto da tutto ciò che i miei nonni mi raccontavano. I miei nonni, come tutta la gente del popolo, cantavano come nenie, quasi come una cantilena.

Com'è nata la sua passione per la musica?

Vengo da una famiglia di musicisti, anzi di musicanti. Sono nato ad Orsara di Puglia, mio padre era orsarese, mentre mia madre era di Bovino. Ho vissuto ad Orsara fino all’età di otto anni; poi alcune vicende familiari ci hanno fatto spostare qui a Bovino. Mio nonno suonava il bombardino nella banda del paese, i fratelli di mia nonna erano tutti musicisti: clarinettisti, trombettieri, ecc.Mio padre suonava la fisarmonica e anche i miei zii suonavano: il fratello maggiore di mio padre era maestro di musica diplomato al Conservatorio di musica san Pietro a Majella di Napoli e ha suonato per molti anni sulle navi che viaggiavano da Napoli verso gli Stati Uniti, per poi passare a Gaeta nei club frequentati dagli americani, in particolare in un locale chiamato “Il re bullone”, in cui suonava con il suo complesso vestito da Pulcinella. Venendo da una famiglia di questo tipo, quando ci incontravamo da mia nonna mangiavamo “pane e musica”. Da autodidatta ho iniziato a suonare la chitarra in maniera anche molto seria, poi sono entrato nella banda e ho studiato la musica d’insieme.Ho iniziato anche a comporre versi popolari ispirandomi ai racconti dei miei nonni. Mia nonna aveva l'abitudine di raccontare storie nelle serate invernali quando la famiglia si raccoglieva  intorno al braciere. Ho fatto tesoro di queste storie ele ho portate in musica.Così è nata la mia passione.

 A quanti anni ha imparato a suonare la chitarra?

Ho cominciato con le prime strimpellate intorno ai sette/ nove anni circa. 

Quanti strumenti sa suonare?

Suono la chitarra, il basso, le tastiere, il mandolino,  la tuba e il basso americano. Poi suono anche l’ocarina e l’armonica a bocca, ma non sono un professionista di questi ultimi, diciamo che li utilizzo per divertimento. Inoltre strimpello la fisarmonica.  

Quale consiglio vorrebbe dare ai ragazzi di oggi?

Di non dimenticare mai la cultura che ci è stata tramandata.Il nostro passato è importante: se si vuole costruire un futuro solido bisogna partire proprio dal passato. La nostra cultura è fatta di tradizioni meravigliose che alcuni bovinesi insieme alla Proloco e in particolar modo la professoressa Lombardi, stanno cercando di salvare e tramandare. Non ho nulla contro le nuove tradizioni  o contro feste come Halloween, ma non dovremmo mai farci condizionare dalle tradizioni americane, quando noi ne abbiamo di più belle.  Il nostro Halloween è la tradizionale calza dei morti, che serve soprattutto a creare un legame tra i più piccoli che ricevono una calza piena di dolciumi e le generazioni che ci hanno preceduto. I bambini che avevano un nonno, ma lo hanno perduto, ad esempio, sanno che in un altro mondo il nonno continua a pensare a loro e ogni anno porta loro una calza piena di dolcetti. 

Quest’anno ho visto che per il Carnevale vi siete impegnati molto: ho visto cose meravigliose. Per questo vi invito a continuare e a non dimenticare.

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