Lo scrittore Roberto Matatia con sua moglie Silvia |
Nell’ambito dell’evento Scuola e Memoria, gli alunni della redazione Parola nostra della
Scuola Secondaria di primo grado, hanno incontrato a scuola, il 12 febbraio
2020, lo scrittore Roberto Matatia, autore del libro I vicini scomodi che
narra le vicende di una parte della famiglia Matatia, sterminata dai nazisti
durante la Seconda guerra mondiale. Nel corso dell’incontro l’autore, insieme a
sua moglie Silvia, ha rilasciato un’intervista a quattro alunni delle classi II
A e II B che avevano letto integralmente il libro. L’autore ha raccontato di
essere entrato in possesso di alcune lettere, scritte dalla giovane Camelia Matatia
al suo fidanzatino Mario che, una volta anziano, ha deciso di consegnarle a lui
affinché non andassero perdute.
Quante sono le lettere di Camelia?
Le lettere sono quattro e hanno una vita che va dal
novembre del 1943 al primo dicembre del ’43, poiché i ragazzi si sono
conosciuti tardi, verso la fine del 1943. Prima di allora riuscivano ancora a
vedersi, poi arrivarono i nazisti… Dopo
l’otto settembre del ’43 ci fu l’armistizio. Mussolini fu deposto dalla carica
di Primo Ministro e sembrava si potesse giungere ad una pace. In realtà non fu
così: gli americani cominciarono a liberare l’Italia partendo da Sud. Invece il
centro e il nord erano controllati dai fascisti e subito dopo dai nazisti. Gli
ebrei, quindi, non potevano esporsi più di tanto perché potevano essere
catturati dai tedeschi e mandati nei campi di concentramento. Erano costretti a
nascondersi e per i due innamorati non c’era altro modo per comunicare che
scambiarsi delle lettere. L’ultima lettera è del primo dicembre del ’43, perché
a Savigno, il piccolo paesino dove Camelia e la sua famiglia si erano
rifugiati, arrivarono le camionette dei nazisti che fecero radunare tutta la
gente del paese nella piazza e andarono a prendere gli ebrei. Sapevano
benissimo dove andare a causa del fenomeno della delazione, una spiata dietro
compenso: in cambio di denaro gli ebrei venivano denunciati. I tedeschi presero
la famiglia di Camelia e altre famiglie di ebrei e li portarono via.
Ha mai sentito l’esigenza di chiamare Mario per capire meglio
chi era Camelia?
Certo, naturalmente. Quando è uscito il libro, mia
moglie ed io volevamo rintracciare a tutti i costi Mario, allora siamo andati a
presentare il libro a Savigno, il paese in cui si era nascosta la famiglia. In
prima fila c’era un gruppo di persone molto anziane, oltre i novant’anni, ma
lucidissime. Dopo l’incontro ci hanno raggiunto e ci hanno detto di essere
stati compagni di gioco e amici di Camelia e dei suoi fratelli. A quel punto ci
è venuto spontaneo chiedere di Mario, che nel frattempo era morto. Ci hanno
raccontato la storia della sua famiglia e ci hanno detto dove era sepolto. Così
siamo riusciti a ricostruire tutta la storia.
Quali emozioni ha provato quando leggeva le lettere di
Camelia?
Emozioni molto violente: c’era rabbia per quanto successo,
c’era tristezza perché Camelia aveva solo sedici anni, pochi anni più di voi.
Mi viene anche da fare un paragone: ciò che è successo a loro sta succedendo
ancora oggi a tante famiglie costrette a fuggire dalla loro terra. Ho pensato
che la storia di questa ragazzina ebrea sia la storia dell’uomo.
Le lettere di Camelia sono una preziosa eredità per la sua
famiglia, a chi pensa di doverle lasciare?
Io e mia moglie
abbiamo deciso che le lettere di Camelia non dovessero essere solo nostre,
riposte in un cassetto, ma a disposizione di tutti. Sono state inserite su una
serie di pannelli che abbiamo predisposto con la
Fondazione di studi storici di
Bologna e con la Regione Emilia Romagna e che vengono portati in giro per le
scuole o prestati ad associazioni che ne fanno richiesta. Naturalmente vengono
anche esposte in occasione di mostre sulla Shoah, come quella di Roma dell’anno
scorso.
Ha mai pensato di pubblicarle integralmente?
Roberto: sì, ma non so ancora se lo farò e in quale forma.
Silvia: Il papà di Roberto quando seppe delle lettere voleva
tenerle in casa, perché non voleva parlare dell’accaduto. Roberto invece ha
insistito molto per renderle pubbliche, proprio per poter dare voce alle
sensazioni di questa ragazza, ma non è stato affatto facile.
Pensa che il passato della sua famiglia possa in qualche modo
condizionare la sua vita?
Ha condizionato moltissimo la mia vita, altrimenti non
sarei qui con voi a parlarne. Ha condizionato la mia vita e anche quella di mia
moglie, perché ci ha portato a vedere le cose in modo diverso, ma lo ha anche
fatto in maniera bella: possiamo parlare con voi ragazzi, ma anche con tante
associazioni che ci chiamano, quindi sì, ha condizionato la nostra vita, ma in
meglio.
Quale messaggio vuole lasciare a noi ragazzi per far comprendere
meglio l’Olocausto?
Vorrei fare in modo che voi non pensaste che l’Olocausto
sia qualcosa che riguarda solo gli ebrei. Dobbiamo anche pensare a tutte quelle
persone che sono perseguitate per il colore della pelle. Anche nelle scuole ci
sono ragazzi che vengono offesi o umiliati perché sono visti come “sbagliati”,
come diversi dagli altri. Alla base di questi comportamenti c’è la stessa idea
che ha portato a perseguitare gli ebrei: sopraffazione verso chi viene visto
come inferiore.
Ormai sono passati tantissimi anni dall’Olocausto, però ci
sono ancora alcune persone che negano l’esistenza dei campi di sterminio, lei
ha mai subito discriminazioni per la sua religione?
Moltissime volte, anche recentemente, durante la
proiezione di un film, un gruppo di negazionisti ha negato l’esistenza dei
campi di sterminio, proprio perché ero presente io in sala. Ma questo non è
niente: sin da quando ero bambino ho subito offese e violenze perché ero ebreo.
L'intera redazione partecipa all'incontro con lo scrittore |
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