martedì 21 aprile 2020

INTERVISTA A ROBERTO MATATIA di Giulia Campanella, Claudia Della Vista, Alessio Ryan Pagniello, Michela Russo

Lo scrittore Roberto Matatia con sua moglie Silvia


Nell’ambito dell’evento Scuola e Memoria, gli alunni della redazione Parola nostra della Scuola Secondaria di primo grado, hanno incontrato a scuola, il 12 febbraio 2020, lo scrittore Roberto Matatia, autore del libro I vicini scomodi che narra le vicende di una parte della famiglia Matatia, sterminata dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Nel corso dell’incontro l’autore, insieme a sua moglie Silvia, ha rilasciato un’intervista a quattro alunni delle classi II A e II B che avevano letto integralmente il libro. L’autore ha raccontato di essere entrato in possesso di alcune lettere, scritte dalla giovane Camelia Matatia al suo fidanzatino Mario che, una volta anziano, ha deciso di consegnarle a lui affinché non andassero perdute.
Quante sono le lettere di Camelia?
Le lettere sono quattro e hanno una vita che va dal novembre del 1943 al primo dicembre del ’43, poiché i ragazzi si sono conosciuti tardi, verso la fine del 1943. Prima di allora riuscivano ancora a vedersi, poi arrivarono i nazisti…  Dopo l’otto settembre del ’43 ci fu l’armistizio. Mussolini fu deposto dalla carica di Primo Ministro e sembrava si potesse giungere ad una pace. In realtà non fu così: gli americani cominciarono a liberare l’Italia partendo da Sud. Invece il centro e il nord erano controllati dai fascisti e subito dopo dai nazisti. Gli ebrei, quindi, non potevano esporsi più di tanto perché potevano essere catturati dai tedeschi e mandati nei campi di concentramento. Erano costretti a nascondersi e per i due innamorati non c’era altro modo per comunicare che scambiarsi delle lettere. L’ultima lettera è del primo dicembre del ’43, perché a Savigno, il piccolo paesino dove Camelia e la sua famiglia si erano rifugiati, arrivarono le camionette dei nazisti che fecero radunare tutta la gente del paese nella piazza e andarono a prendere gli ebrei. Sapevano benissimo dove andare a causa del fenomeno della delazione, una spiata dietro compenso: in cambio di denaro gli ebrei venivano denunciati. I tedeschi presero la famiglia di Camelia e altre famiglie di ebrei e li portarono via.
Ha mai sentito l’esigenza di chiamare Mario per capire meglio chi era Camelia?
Certo, naturalmente. Quando è uscito il libro, mia moglie ed io volevamo rintracciare a tutti i costi Mario, allora siamo andati a presentare il libro a Savigno, il paese in cui si era nascosta la famiglia. In prima fila c’era un gruppo di persone molto anziane, oltre i novant’anni, ma lucidissime. Dopo l’incontro ci hanno raggiunto e ci hanno detto di essere stati compagni di gioco e amici di Camelia e dei suoi fratelli. A quel punto ci è venuto spontaneo chiedere di Mario, che nel frattempo era morto. Ci hanno raccontato la storia della sua famiglia e ci hanno detto dove era sepolto. Così siamo riusciti a ricostruire tutta la storia.
Quali emozioni ha provato quando leggeva le lettere di Camelia?
Emozioni molto violente: c’era rabbia per quanto successo, c’era tristezza perché Camelia aveva solo sedici anni, pochi anni più di voi. Mi viene anche da fare un paragone: ciò che è successo a loro sta succedendo ancora oggi a tante famiglie costrette a fuggire dalla loro terra. Ho pensato che la storia di questa ragazzina ebrea sia la storia dell’uomo.
Le lettere di Camelia sono una preziosa eredità per la sua famiglia, a chi pensa di doverle lasciare?
 Io e mia moglie abbiamo deciso che le lettere di Camelia non dovessero essere solo nostre, riposte in un cassetto, ma a disposizione di tutti. Sono state inserite su una serie di pannelli che abbiamo predisposto con la Fondazione di studi storici di Bologna e con la Regione Emilia Romagna e che vengono portati in giro per le scuole o prestati ad associazioni che ne fanno richiesta. Naturalmente vengono anche esposte in occasione di mostre sulla Shoah, come quella di Roma dell’anno scorso.
Ha mai pensato di pubblicarle integralmente?
Roberto: sì, ma non so ancora se lo farò e in quale forma.
Silvia: Il papà di Roberto quando seppe delle lettere voleva tenerle in casa, perché non voleva parlare dell’accaduto. Roberto invece ha insistito molto per renderle pubbliche, proprio per poter dare voce alle sensazioni di questa ragazza, ma non è stato affatto facile.
Pensa che il passato della sua famiglia possa in qualche modo condizionare la sua vita?
Ha condizionato moltissimo la mia vita, altrimenti non sarei qui con voi a parlarne. Ha condizionato la mia vita e anche quella di mia moglie, perché ci ha portato a vedere le cose in modo diverso, ma lo ha anche fatto in maniera bella: possiamo parlare con voi ragazzi, ma anche con tante associazioni che ci chiamano, quindi sì, ha condizionato la nostra vita, ma in meglio.
Quale messaggio vuole lasciare a noi ragazzi per far comprendere meglio l’Olocausto?
Vorrei fare in modo che voi non pensaste che l’Olocausto sia qualcosa che riguarda solo gli ebrei. Dobbiamo anche pensare a tutte quelle persone che sono perseguitate per il colore della pelle. Anche nelle scuole ci sono ragazzi che vengono offesi o umiliati perché sono visti come “sbagliati”, come diversi dagli altri. Alla base di questi comportamenti c’è la stessa idea che ha portato a perseguitare gli ebrei: sopraffazione verso chi viene visto come inferiore.
Ormai sono passati tantissimi anni dall’Olocausto, però ci sono ancora alcune persone che negano l’esistenza dei campi di sterminio, lei ha mai subito discriminazioni per la sua religione?
Moltissime volte, anche recentemente, durante la proiezione di un film, un gruppo di negazionisti ha negato l’esistenza dei campi di sterminio, proprio perché ero presente io in sala. Ma questo non è niente: sin da quando ero bambino ho subito offese e violenze perché ero ebreo.







Il saluto del Dirigente Scolastico, Prof. Ottone Perrina

L'intera redazione partecipa all'incontro con lo scrittore


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